Alice è andata via
Alice è una donna bellissima. Lo è sempre stata. Sembra che il tempo sia particolarmente clemente con lei. Non la sorte purtroppo. A volte mi soffermo a osservarla, quando non se ne rende conto, assorta in chissà quali pensieri, e mi chiedo che cosa l'abbia spinta ad amarmi. Quando se ne accorge, mi guarda e sorride. Poi riprende a fissare un punto nel vuoto, uno qualsiasi, senza un motivo particolare. Da una settimana non mi riconosce più. Continua ad avere un'espressione che potrei definire attenta, quando mi avvicino o le parlo. All'improvviso mi chiede chi sono e se per caso ho visto Giorgio. In un primo momento ho cercato di farle capire che Giorgio sono io. Poi mi sono dovuto arrendere. Era tutto inutile.
Nei lunghi momenti di silenzio che scandiscono il nostro stare insieme, mi torna in mente la prima volta che ci siamo visti. A quell'epoca abitavo a Roma, nelle vicinanze di Piazza Cola di Rienzo, ospite di uno zio paterno. Una mattina d'estate, un sabato, facevo quattro passi per Viale Mazzini. Andai in una tabaccheria per acquistare dei sigari toscani. Subito dopo entrò una ragazza. Non ci feci troppo caso sul momento. Si avvicinò al bancone ed iniziò a parlare con il tabaccaio mentre io uscivo. Aprii la confezione e, camminando con l'aria di chi non ha nessun problema al mondo, ne accesi uno. Una mano afferrò il mio braccio. Mi voltai di scatto. Era lei.
«Mi hanno riferito che hai comprato l'ultima scatola di sigari. Non è che saresti così gentile da offrirmene uno?» chiese.
Una ragazza che fuma toscani? Impossibile. Pensai ad uno scherzo. Mi ripeté la domanda per tre volte. Io non spiccicai parola. Sembrava divertita dalla mia espressione incredula. Mi tolse il pacchetto dalla mano e ne trasse un sigaro. Prese dalla sua tasca un accendino, uno di quelli che avevano i soldati alleati durante la guerra, e lo accese. Visto che il mio era caduto a terra, dividemmo quello che mi aveva sottratto lei. Da quel giorno, non ci siamo più lasciati.
Nonostante l'abbia amata anche io con tutto me stesso, non sono stato un buon compagno per lei, e questa mia dedizione tardiva, non riuscirà mai a mitigare le colpe che ho accumulato in tutti questi anni. Tradimenti, gioco d'azzardo, alcool. Un giorno qualcuno mi ha detto che Alice ha memoria degli avvenimenti del lontano passato ma non di quelli recenti. Di me, del suo guaio infinito, come amava chiamarmi nei momenti di intimità, avrà soltanto brutti ricordi. Questo mi avvilisce, se mi fermo a rifletterci.
Purtroppo, non posso che ammettere di meritarlo, perché altra traccia di me non ho saputo lasciarle. Mi soffermo di nuovo ad guardarla. Si è addormentata sulla sua poltrona, col capo reclinato all'indietro e la bocca aperta. Oggi è San Valentino. Le farò un regalo. Non ho mai mancato, nonostante tutto, di donarle qualcosa per San Valentino. Sul divano, accanto a lei, c'è un cuscino. Lo prendo, e che Dio mi perdoni, lo tengo premuto contro la sua faccia, usando il mio corpo. E stringo, stringo, sempre più forte. Le sue braccia si muovono sempre più debolmente, fino a cadere inerti lungo i fianchi. Alice è andata via, finalmente. Ora toccherà a me.
Luciano