Tobia è mogio ed ha la febbre da poche ore. Il bambino viene portato al Pronto Soccorso Pediatrico, nonostante sia inverno, alle 3 del mattino e visitato dal medico di turno. Dopo una visita accurata, il pediatra propone una terapia ragionevole per i sintomi presentati, indefiniti e iniziati da troppo poco tempo.
Tobia torna a casa alle 6 (ha fatto anche gli esami del sangue) e le medicine vengono somministrate scrupolosamente. Il pediatra di famiglia riceve nel pomeriggio così si può andare anche da lui. L'attesa dura più di un'ora, ci sono tanti bambini malati, con la speranza che Tobia non si aggravi.
Per il decorso più prolungato ed i sintomi meglio definiti si pone una diagnosi diversa con la necessaria terapia. Durante tutta la serata e la successiva nottata si somministrano i farmaci ad orari cronometrici ma l'indomani la febbre c'è ancora. Nel pomeriggio si pratica un'ulteriore visita pediatrica - da uno bravo - e finalmente c'è la diagnosi definitiva: “Tobia ha l'influenza. Gli passerà”. Come previsto, dopo qualche giorno d'angoscia e di dubbi di mamma e papà, la malattia guarisce.
È stato utile al bambino malato tutto questo via vai? No. Tobia, sofferente, è stato sballottato in giro per la città, ha preso freddo, ha assunto farmaci inutilmente, ha percepito l'agitazione delle persone su cui fa più affidamento. E' stato utile per i genitori? No, perché hanno percepito una scarsa professionalità ed una modesta preparazione dei primi pediatri, hanno speso molto denaro nell'acquisto di presidi terapeutici “inutili”, si sono agitati senza offrire al bambino un'atmosfera rassicurante e protettiva.
Questo modo di agire si definisce “doctor shopping”. È un comportamento che può essere pericoloso perché i genitori “disperati” attuano il fai da te con tentativi terapeutici empirici spesso dannosi, come avviene, ad esempio, per le coliche gassose o per la sindrome del colon irritabile, che portano a diete di esclusione devastanti.
I genitori affetti da questa malattia pensano che il bambino debba avere uno stato di salute perfetto, ineccepibile, non semplicemente normale. L'imperfezione anche minima, come ad esempio un po' di cacca più molle del solito oppure qualche starnuto, desta allarme perché loro “vogliono sapere tutto”. Non possono aspettare qualche giorno perché il disturbo si risolva da solo oppure che la malattia si definisca meglio nelle sue caratteristiche cliniche e non tollerano l'idea che a qualche disturbo “strano” come, appunto, le coliche, non si trovi una terapia definitiva, risolutiva.
Sono genitori divorati dall'ansia e dall'incertezza, schiacciati dal senso di responsabilità nei confronti del bambino, che cercano risposte certe, conferme sicure, alla loro adeguatezza genitoriale, al loro ruolo di difesa e protezione.
Per non praticare il doctor shopping è necessario comprendere che un bambino deve essere semplicemente normale. Si evitano, così, visite ed esami inutili con un evidente risparmio economico e di tempo per il pediatra che ha maggiori possibilità di spiegare meglio come si alleva un bambino “sano” (sempre mediamente, si intende).
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Fonte: Tiscali