Quattro mesi fa falliva Lehman Brothers e finiva la Wall Street del 900. L`autodistruzione di quello che era stato, con Wall Street, il cuore della finanza americana e mondiale appariva evidente anche a chi fino ad allora aveva guardato altrove. Nessuno l`aveva previsto davvero, in tutta la sua enormità. Ma qualcuno aveva lanciato allarmi circostanziati.
Ciò portò alla crisi dei
mutui e dei
presiti in America
Quattro mesi dopo la fase uno può dirsi superata. A livello mondiale i valori di Borsa sono stati più o meno dimezzati, cosa del resto accaduta anche con lo scoppio della bolla dot com otto anni fa. Le Banche centrali e le Tesorerie pubbliche sono intervenute, spesso generosamente. Il sistema ha frenato paurosamentre ma non si è fuso. E alla fine, dopo quattro mesi, un rispettato economista come Brad de Long dell`Università della California, a Berkeley, fa i seguenti conti.
Un anno e mezzo fa il mondo aveva 80mila miliardi di dollari di titoli finanziari commerciabili. Oggi può contare su 60 mila, cioè 20 mila in menio e 5mila in meno del Pil mondiale. Il settore abitativo, con i mutui subprime e simili, negli Stati uniti e altrove, in Gran Bretagna soprattutto, ha provocato o provocherà circa 2mila miliardi di perdite. Quattromila vengono o verranno da altri default già provocati o che la recessione renderà inevitabili. Le Banche centrali e le Tesorerie hanno immesso effettivamente a tuttoggi - escluse garanzie e altri finanziamenti a fronte di collaterale di buona qualità - circa 3mila miliardi di dollari. L`effetto deleverage, la perdita di valore di asset finanziari dovuta alla molto diminuita accettazione dell`indebitamento e al rifiuto di titoli che al momento nessuno sa quanto valgono - parte notevole dei derivati - ammonta quindi, se De Long ha fatto bene i suoi conti, a circa 17mila miliardi. E` con questa "evaporazione" di asset finanziari, che solo fra alcuni anni e a bocce ferme potrà essere in parte - quanto, oggi non si sa - iscritta come vera perdita, che occorre ora confrontarsi.
L`impegno della Federal Reserve e del Tesoro americano è massiccio e senza confronti in Europa anche perché il settore pubblico è negli Stati Uniti assai più ristretto, pari a poco più del 30% del Pil contro il quasi 50% in Europa. E poiché tocca al settore pubblico sostituirsi a un credito privato al momento molto difficile, è logico che Washington sia più attiva, avendo il sistema meno stabilizzatori automatici. Negli Stati Uniti le cifre messe in campo sono enormi, e già superiori a quanto speso da Washington per il finanziamento dell`intera seconda guerra mondiale, Allora 3600 miliardi, in dollari di oggi, adesso contro la crisi e la recessione finora 4600 miliardi su un totale di circa 8 mila pronti a venire impiegati (si veda Il Sole 24 Ore del 6 gennaio, pagina 11). Tutto questo senza contare il piano di stimolo che adesso il nuovo governo Obama si appresta a lanciare. E che sarà , alla fine, non lontano dai mille miliardi.
A questo punto si possono scegliere due strade e la prudenza consiglia di praticarle entrambe.
La prima è indicata da un cartello che dice "intervento pubblico" ed è quella battuta finora, negli Stati Uniti soprattutto ma anche in Europa. E in Cina.
La seconda è segnata da un cartello che si chiede: " quanto intervento pubblico?". Pone cioè il problema non solo della necessità, ma dei limiti. Neppure lo Stato più ricco ha risorse illimitate.
Quindi, guardando oltre la crisi, quanta spesa pubblica e fino a che punto è sostenibile? Fermiamoci al caso americano, il maggiore e più emblematico.
Il piano di stimolo del nuovo Governo, l`American recovery and reinvestment plan, prevede una cifra del 5% del Pil (che è pari a circa 14mila miliardi di dollari), in due anni, cioè circa 750 miliardi. Ma poiché il settore privato dovrà risparmiare attorno al 6% del Pil per parecchi anni per uscire dai debiti, questo 6% dovrà essere recuperato dalla spesa pubblica che già è in deficit del 4% del Pil, e si arriva a un 10% di deficit. Sarà lo Stato infatti ad accollrsi la spesa in deficit che i privati non possono più fare. Secondo Martin Wolf del Financial Times sono livelli sostenibili solo per qualche anno, e solo se gran parte della spesa in deficit va in investimenti produttivi. Poi, i conti saltano. Già adesso, e senza il piano Obama, il deficit 2009 sarà di 1200 miliardi , secondo il Congressional budget Office, il triplo del 2008, a causa degli interventi anti-crisi. Se si aggiunge lo stimolo Obama , si arriva a circa 1600. Se si pensa che quando George Bush arrivò al potere l`intero bilancio federale era di 1700 miliardi, si vede come il deficit 2009 arriverà a sfiorare l`intera spesa 2000. Uno sforzo necessario, ma che non può durare a lungo. E che rischia di essere immane, perché Washington dovrà per qualche tempo sostituirsi a quella che è stata una forza trainante dell`economia anche internazionale: il consumatore americano. Le potenzialità degli Stati Uniti restano enormi, di ricchezza materiale e umana. Ma se il debito continua a correre, pubblico questa volta e non più privato, il risultato alla fine non cambia.
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Fonte: Il Sole 24 Ore