Venere infligge la prima prova a Psiche. Aiuto delle formiche.
X "E così dicendo le si precipitò addosso e cominciò a lacerarle in mille brandelli la veste, a strapparle i capelli, a scuoterla per il capo, a colpirla furiosamente. "Poi si fece portare dei chicchi di frumento, d'orzo, di miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie e fave, le mescolò, ne fece un gran mucchio e le disse: ‘Sei una schiava così brutta che a me pare tu non possa farti in alcun modo degli amanti, se non a prezzo di un diligente servizio. Perciò voglio mettere alla prova la tua abilità: dividi tutti questi semi, sceglili ad uno ad uno e fanne tanti mucchietti, in bell'ordine. Prima dì sera verrò a controllare che il lavoro sia stato eseguito.' E lasciatala davanti a quel gran mucchio di semi se ne andò a un pranzo di nozze. "Psiche non ci provò nemmeno a metter mano in quel confuso, inestricabile cumulo ma costernata dall'enormità di quell'ordine se ne rimase in silenzio come imbambolata. Allora quel piccolo animaluccio dei campi, la formicuccia, che ben sapeva quanto difficile fosse un lavoro del genere, provò compassione per la compagna del grande Cupido e condannò la crudeltà della suocera. Cosi cominciò a darsi da fare, su e giù, chiamando a raccolta, dai dintorni, tutto il popolo delle formiche: ‘Correte, agili figlie della terra feconda correte e date una mano, presto, a una leggiadra fanciulla in pericolo, la sposa di Amore!' E quelle accorsero tutte, a ondate, minuscolo popolo a sei piedi, e lavorando con uno zelo mai visto, chicco dopo chicco, disfecero tutto il cumulo, separarono i semi, li distribuirono in mucchi secondo la qualità e poi, in un batter d'occhio, disparvero.
XI "Sul far della notte Venere tornò dal banchetto un po' brilla ma odorosa di balsami e con il corpo tutto inghirlandato di rose meravigliose. Vide il lavoro compiuto a puntino e: ‘Questo lavoro non l'hai fatto tu' cominciò a gridare ‘furfante che non sei altro, ma è opera di colui al quale per tua e soprattutto per sua disgrazia tu sei piaciuta' e gettatole un tozzo di pane perché non morisse di fame se ne andò a dormire. "Cupido, intanto, era stato isolato in una stanza tutta d'oro, la più interna del palazzo e tenuto sotto chiave, sia perché, con la sua sfrenata libidine non aggravasse la ferita, sia perché non si incontrasse con la sua amata. E così, i due amanti, passarono una notte triste, divisi e separati l'uno dall'altro sotto lo stesso tetto.
La seconda prova e l`aiuto della canna.
"Ma quando l'Aurora spinse innanzi i suoi cavalli, Venere, chiamata Psiche, così le ordinò: ‘Vedi quel bosco laggiù che si stende fin sugli argini del fiume e i cui rami più bassi quasi toccano l'acqua e vi si specchiano? Ebbene là pascolano in libertà pecore bellissime dalla lana d'oro lucente e non v'è alcun guardiano. Io voglio che tu mi porti subito, vedi un po' tu come fare, un poco di quella lana preziosa.'
XII "S'avviò di buon grado Psiche non già per eseguire quell'ordine ma per trovare rimedio ai suoi triboli precipitandosi da una rupe giù nel fiume; ma dalla sponda una verde canna, di quelle da cui si posson trarre le melodie più soavi, quasi fosse ispirata da un dio, così le parlò nel lieve murmure della brezza leggera: "'Oh, Psiche, afflitta da tante pene, non profanare le mie acque sacre con la tua morte miseranda e non avvicinarti, ora, a quelle terribili e selvagge pecore, perché la vampa ardente del sole le rende ferocissime e con le loro corna aguzze e con le loro fronti dure come il macigno, talvolta addirittura con morsi velenosi, esse s'avventano sugli uomini per ucciderli. Intanto fin ché il sole del meriggio non avrà mitigato il suo ardore e le pecore non si saranno ammansite alla fresca brezza che sale dal fiume, tu puoi nasconderti a bell'agio sotto quel grande platano che, insieme con me beve alla stessa corrente. Quando le pecore si saranno quietate, allora recati nel bosco vicino e scuoti le fronde e troverai la lana d'oro rimasta attaccata qua e là nell'intrico dei rami.'
XIII "Così quell'umile canna umanamente indicava alla povera Psiche la via della salvezza e questa non si pentì di averle dato ascolto né indugiò a seguire a puntino ogni istruzione, tanto che le fu facile compiere il furto e tornare da Venere addirittura con il grembo colmo di soffice lana d'oro.
"Ma nemmeno questa seconda prova, così rischiosa per giunta, le valse a cattivarsi il favore della sua padrona la quale, aggrottando la fronte e sorridendo amaro così le disse: ‘Non è che io non sappia chi sia stato l'autore furfantesco anche di questa impresa, ma voglio metterti ancora alla prova, proprio per vedere se hai veramente tanta forza d'animo e tanta saggezza. Vedi lassù la cima a strapiombo di quell'altissimo monte? Là c'è una sorgente le cui acque cupe scorrendo giù nel fondo di una valle vicina vanno a finire nella palude Stigia e alimentano le vorticose correnti di Cocito. Voglio che tu vada là in cima, proprio dov'è la sorgente, e che mi rechi all'istante, in questa piccola anfora, un po' di quell'acqua gelida' e così dicendo non senza minacciarla di pene ancora più gravi, le consegnò un'ampolla di levigato cristallo.
XIV "E Psiche a rapidi passi e tutta in ansia si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Ma appena giunse nei pressi della vetta indicatale, ella si rese conto del rischio mortale che comportava quell'impresa smisurata. Quella cima, infatti, enorme e altissima, liscia e a strapiombo, inaccessibile, vomitava dalle sue viscere un orrido fiotto che irrompendo dai crepacci e scorrendo poi giù per il pendio, s'ingolfava in un angusto canale sotterraneo per poi scrosciare invisibile nella valle sotto stante. "A destra e a sinistra, tra gli anfratti rocciosi, orribili draghi strisciavano e rizzavano i lunghi colli, sentinelle vigilanti dagli occhi sempre aperti, dalle pupille eternamente spalancate alla luce. "Del resto quelle acque che erano parlanti, da se stesse provvedevano alla loro difesa: ‘Vattene!' gridavano incessantemente. ‘Che fai qui? Bada a te! Che vuoi? Guardati! Fuggi via! Sei perduta!' "Così Psiche rimase come impietrita nella sua impotenza, presente col corpo ma lontana coi sensi, schiacciata dall'enormità di un pericolo senza via d'uscita; e non le restava nemmeno l'estremo conforto del pianto.
XV "Ma le tribolazioni di quell'anima innocente non sfuggirono all'occhio attento della buona provvidenza. E così l'uccello regale del sommo Giove, l'aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccorso, memore dell'antica obbedienza, quando sotto la guida di Amore, rapì per Giove il coppiere frigio *. Ora, volendo ancora una volta offrire i suoi servigi a questo potente dio e cattivarsene il favore col soccorrere la sua sposa in pericolo, lasciò le eteree cime dell'eccelso Olimpo e cominciò a ruotare intorno alla fanciulla: ‘O tu, ingenua e inesperta come sei di tali cose,' intanto le diceva, ‘speri, proprio tu, di poter portar via o soltanto toccare una sola goccia di quest'acqua sacra e tremenda insieme? Non sai, almeno per sentito dire, che queste acque infernali fanno paura anche agli dei, perfino allo stesso Giove, e che se voi di solito giurate sulla potenza degli dei questi sogliono giurare sulla maestà dello Stige? Ma dammi quest'anforetta' e là per là gliela prese e tenendola stretta si librò sulle grandi ali remiganti e volteggiò a destra e a sinistra fra le mascelle irte di denti aguzzi e le lingue triforcute dei draghi riuscendo ad attingere di quell'acqua riluttante che gridava anche a lei di fuggir via finché era incolume e alla quale però ella rispondeva che per ordine di Venere sua padrona era venuta ad attingere; per questo le fu più facile avvicinarsi.
La quarta prova. Psiche discende agli Inferi
XVI "Psiche con gioia prese l'anforetta colma d'acqua e di corsa la porta a Venere. Ma neppure questa volta ella riuscì a placare la collera della dea crudele che, infatti, minacciando tormenti ancora più terribili, con un sorrisetto velenoso le fece: ‘Credo proprio che tu sia una gran maga, una di quelle stregacce malefiche dal momento che hai eseguito come niente i miei ordini; ora però, carina mia, dovrai farmi anche questo: prendi questa scatola' e gliela diede ‘e di corsa arriva fino agli Inferi, fino al lugubre palazzo dello stesso Orco e consegna a Proserpina questo cofanetto dicendole che Venere la prega di mandarle un poco della sua bellezza, almeno quanto basti per un sol giorno perché quella che aveva l'ha consumata e sciupata tutta per curare il figlio malato. Però cerca di tornare alla svelta perché io devo proprio farmi una ripassatina prima di andare a una rappresentazione teatrale degli dei.
XVII "Allora Psiche comprese che per lei era davvero finita e si rese chiaramente conto che ormai la si voleva mandare a morte sicura. C'era, infatti, da dubitarne dal momento che la si costringeva a recarsi con i suoi piedi al Tartaro, nel mondo dei morti? Senza indugiare oltre salì allora su una altissima torre per gettarsi di lassù a capofitto pensando che questo fosse il modo migliore e più spedito per giungere agli Inferi. Ma la torre improvvisamente parlò: ‘Perché, disgraziata, vuoi ucciderti, buttandoti giù? Perché dinnanzi a quest'ultimo rischio, a quest'ultima prova vuoi darti subito per vinta? Una volta che il tuo spirito sarà separato dal corpo andrai, sì, in fondo al Tartaro, certamente, ma di laggiù in alcun modo potrai tornare.
XVIII "'Ascoltami: poco lontano di qui c'è Sparta, la celebre città della Acaia; cerca il promontorio del Tenaro che non le è distante anche se situato un po' fuori mano. Lì c'è l'imboccatura che porta all'inferno e attraverso le sue porte spalancate si vede l'inaccessibile strada. Tu varca la soglia e mettiti in cammino seguendo quella burella e arriverai diritto alla reggia di Plutone. Non dovrai tuttavia inoltrarti in quelle tenebre a mani vuote ma recherai due ciambelle d'orzo impastate con vino e miele, una per mano, e due monete in bocca. Percorrerai un buon tratto di quella strada che porta alla morte e incontrerai un asino zoppo carico di legna e un asinaio zoppo anche lui che ti pregherà di raccattargli alcuni rami caduti dal suo fascio; ma tu non ascoltarlo, passa oltre in silenzio. "'Poco dopo arriverai al fiume dei morti a cui sta a guardia Caronte il quale per traghettare sulla sua barca rattoppata quelli che vanno all'altra riva si fa pagare il pedaggio. Come vedi anche fra i morti esiste l'avidità di denaro e nemmeno il famoso Caronte, né lo stesso padre Dite, un dio così potente, fanno mai nulla gratis e un pover'uomo quando muore deve procurarsi il prezzo del viaggio e se per caso non ha il denaro lì pronto nella mano non gli danno neanche il permesso di morire. "'A quel sordido vecchio darai per il pedaggio una delle monete che hai portato con te, ma lascia che sia egli stesso, con le sue mani, a prenderla dalla tua bocca. Inoltre, mentre traverserai quella pigra corrente un vecchio morto dal pelo dell'acqua solleverà verso di te le putride mani e ti supplicherà di accoglierlo nella barca, ma tu non lasciarti piegare da una pietà che non ti è consentita.
XIX "'Attraversato il fiume, poco più oltre, delle vecchie intente a tessere una tela ti pregheranno di dar loro una mano, ma tu non farlo, non toccare quella tela, perché è un'insidia di Venere, come tutto il resto, per farti cadere dalla mano una delle due ciambelle. Non credere che perdere una focaccia sia cosa da poco conto: basterebbe questo, infatti, per non rivedere mai più la luce. Perché c'è un cane gigantesco, con tre teste enormi, mostro terribile, smisurato, che con le sue fauci spalancate latra contro i morti ai quali però, ormai, non può fare alcun male; egli cerca inutilmente di spaventarli e intanto eternamente veglia davanti alla porta e agli oscuri antri di Proserpina, custode della vuota dimora di Dite. "'Tu tienilo a bada gettandogli una delle due ciambelle; così potrai facilmente passare e giungere fino a Proserpina che ti accoglierà con cortesia e con benevolenza e ti inviterà a sedere a tuo agio e a consumare un lauto pasto. "'Tu però siederai per terra e chiederai soltanto un tozzo di pane e mangerai di quello, poi le dirai il motivo della tua venuta e preso quanto ti verrà dato, tornerai indietro, placherai la ferocia del cane con l'altra ciambella, darai all'avaro nocchiero la monetina che avrai conservato e, oltrepassato nuovamente il fiume, ricalcherai le tue orme per rivedere questo nostro cielo con il suo coro di stelle. "'Ma soprattutto ti raccomando una cosa: non aprire la scatola che porterai con te, non guardare dentro, non essere curiosa, non curarti di quel tesoro di divina bellezza che essa nasconde.'
XX "Così quella torre provvidenziale assolse il suo profetico incarico e Psiche non indugiò, raggiunse il promontorio del Tenaro, prese con sé le monete e le ciambelle secondo le istruzioni ricevute, discese lungo la strada infernale, oltrepassò senza dir parola l'asinaio zoppo, diede al nocchiero la moneta per il traghetto, fu sorda al desiderio del morto che galleggiava, non si curò delle insidiose preghiere delle tessitrici, placò con la ciambella la rabbia spaventosa del cane e, infine, giunse alla dimora di Proserpina. "Qui rifiutò il morbido sedile e il cibo squisito che l'ospite le offerse ma sedette umilmente ai suoi piedi si contentò di un pane scuro, poi riferì l'ambasciata di Venere. "E senza indugio prese la scatola, in gran segreto riempita e sigillata, fece tacere le bocche latranti del cane con l'inganno della seconda ciambella, consegnò al nocchiero la moneta che le era rimasta e risalì dall'inferno con passo assai più leggero. "Ma dopo aver rivista e adorata questa candida luce, benché avesse fretta di portare a buon fine il suo mandato, fu assalita da un'imprudente curiosità: ‘Sono proprio una sciocca' si disse: ‘porto con me la divina bellezza e non ne prendo nemmeno un pocolino, non foss'altro per piacere di più al mio bellissimo amante' e, detto fatto, aprì la scatola.
XXI "Ma dentro non v'era nulla, nessuna bellezza, ma solo del sonno, un letargo di morte che s'impadronì di lei non appena ella sollevò il coperchio e che si diffuse per tutte le sue membra in una pesante nebbia di sopore facendola cadere addormentata proprio dove si trovava, là sul sentiero. "E Psiche giacque immobile nel suo sonno profondo, come morta.